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Psicologia

Natura e consapevolezza

Il Serchio di Gramolazzo

Il nostro universo è un continuo fluire di esperienze in interazione con l’ambiente, interno ed esterno. Questo flusso è percepito in soggettiva attraverso i sensi e gli stati fisiologici ed emotivi, il tutto mediato dai pensieri. I nostri pensieri creano concetti e descrivono le nostre percezioni sensoriali ed i nostri stati interni, a loro volta basati sulla continua trasformazione della nostra incessante e reciproca influenza con l’ambiente.

Quando diamo importanza ai pensieri più che alle percezioni e ai sensi, questi occupano in modo assillante la nostra mente e non ci permettono di essere a contatto con la realtà, inclusi i nostri bisogni e il nostro sentire più profondo. Con il pensiero creiamo il mondo che conosciamo e nel quale i pensieri e i concetti diventano concreti e tangibili, strade, case, automobili, guerre e denaro merci ed oggetti, gioia e disperazione, aspettative e mancanza di senso…il mondo nel quale viviamo ed in cui è sempre più impossibile vivere e adattarsi mano a mano che l’esperienza concettuale prevale, e diviene l’unica esperienza possibile, mentre perdiamo il contatto con le sensazioni e le percezioni. Questa è il tipo di esperienza che descrive e etichetta tutta la realtà, senza lasciare spazio a quello che si trova tra un nome e l’altro…

Ma il flusso di esperienze naturali nel frattempo continua ad esistere, dentro e fuori di noi, benché immersi in esso non riusciamo a viverlo pienamente e ci arrampichiamo sui concetti che stiamo creando, sempre più lontani dal reale… questo è il significato profondo dell’albero della conoscenza del bene e del male, il fico di cui abbiamo assaggiato il dolce frutto per cui siamo stati cacciati all’esterno dell’esperienza del paradiso naturale in cui non esistono i concetti e l’illusione di un’io separato.

Lo sviluppo di presenza mentale ci permette proprio di ritornare alla nostra mente naturale, consapevoli e presenti nel flusso dell’esperienza. Nel percorso i concetti possono aiutare, per distinguere ciò che è salutare da ciò che non lo è, ma alla fine vanno abbandonati e la nostra percezione diventa diretta e spontanea, non mediata da concettualizzazioni. In questo la natura, nei suoi molteplici aspetti di acqua, terra, aria, fuoco e spazio può accoglierci e guidarci se glielo permettiamo, così come lo stato del completo risveglio da questa illusione, l’ottenimento della bodhi, è avvenuto per la prima volta proprio meditando ai piedi del fico sacro, lo stesso albero del peccato originale…

Il Fico sacro

Avvicinarsi alla natura in uno stato meditativo di presenza mentale, nel silenzio e con apertura, ci permette quindi non solo di ricaricarci energeticamente, con enormi benefici per il corpo e la mente ormai documentati, ma soprattutto in questa immersione di rientrare in connessione con l’universo, piante, animali, terreno e territorio inclusi coloro che lo hanno abitato prima di noi, per partecipare del suo equilibrio spontaneo e semplice e della sua sapienza al di là del tempo.

Fare pausa

Nel tempo del raccolto è giusto trovare il momento per concedersi una pausa, considerare ciò che è stato fatto o non fatto e godere di qualche momento in cui non fare nulla… Del resto proprio come per un pc o un aspirapolvere, nel momento del massimo riscaldamento esiste un sistema di sicurezza che stacca il motore, e tutto si spegne, quasi una resa meccanica che permette al sistema di rinfrescarsi.

Così siamo noi, in questo caldissimo luglio tempo di bilanci e non ancora tempo di programmi, in cui cerchiamo di “rinfrescarci” le idee…magari un viaggio, anche breve, un tuffo nel mare accogliente, conoscere nuove persone o fare qualcosa di diverso dal solito…perché no?

Ma il bisogno di assaporare con gusto, di godersela, a volte fa a pugni con la nostra realtà, in cui scopriamo di non avere quel che vorremmo, confrontandoci con aspettative deluse e progetti andati a monte, affetti perduti e bilanci in passivo…questa è l’occasione in cui la pratica della presenza mentale viene in nostro aiuto.

Se apprendiamo a stare con quello che abbiamo assaporando gli attimi del presente, possiamo lasciare la presa sui nostri vecchi schemi e progetti, aprendoci a nuove possibilità e a nuove connessioni, lasciando andare la nostra vecchia immagine per stare un po’ in sua assenza…senza un progetto, senza un programma, senza un’identità che ci definisca e ci rinchiuda nella gabbia dei vecchi pensieri su noi stessi. A contatto con il fluire del reale, attimo per attimo possiamo riconoscere ciò che proviamo, che sentiamo, semplicemente, complice il caldo che toglie energia alla nostra azione verso l’esterno, e mantenendola invece verso l’interno, come la forza che in natura porta a maturazione il frutto, che per inerzia, si stacca. E sarà il nuovo della nostra vita.

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Pratica di gruppo estiva, in studio e via internet

Esaltazione di Giove in Cancro: il frutto. (P.Garberi, 1997)

Il coraggio di accettarsi

Ho deciso, finalmente, di guardare l’intera serie del Trono di Spade, e giunta alla terza stagione sto considerando come in questa storia i sistemi motivazionali dei personaggi rappresentati, soprattutto il sistema del rango, si esprimano chiaramente in un contesto crudo e pieno di chiaroscuri come quello descritto dalla sceneggiatura, ambientata in un’epoca simile ad un alto medioevo nella vecchia Europa pagana, dove sono i sistemi neurovegetativi più che il raziocinio a governare apertamente il mondo.

I valori sono semplici, o semplificati, dalle crude necessità di sopravvivenza…competizione, sesso, attacco e fuga, freezing e trauma, quest’ultimo probabilmente è una componente integrata stabilmente nella personalità di ciascun protagonista, e i cosiddetti difetti mentali – ignoranza-rabbia-attaccamento- orgoglio- vendetta- che si esprimono con vigore, mentre l’impulsività guida spesso le azioni dei diversi personaggi…c’è poco di non detto o di sottinteso, e la vita e la morte attraversano continuamente la realtà umana, al contrario dell’apparenza dei nostri giorni nella vecchia Europa regno del virtuale, in cui emozioni e reattività vengono spesso attutiti e mediati, quando non addirittura negati. Ma nella nostra attuale Europa viziata e, forse, un po’ logorata, si sono susseguiti, dopo l’alto, il medio e basso medioevo, dopo l’inquisizione, anche l’illuminismo, il rinascimento ed il romanticismo, oltre che due guerre mondiali ed un genocidio…siamo diventati esperti nel proteggerci dalle emozioni fortemente dimostrate, che restano però presenti sotto forma di stati emotivi, tendenze all’azione interiorizzate, regole e abitudini…che ogni tanto o spesso vengono rotte, e lasciano la loro impronta nello stress e nei vari disturbi del terzo millennio che conosciamo così bene.

Nei Sette Regni invece i valori di cooperazione e altruismo sono presenti appena abbozzati, del resto il personaggio che meglio li rappresenta e che cerca di fare la cosa giusta, muore (peraltro ingiustamente) già nella prima serie…Assistiamo però all’interesse divenire dell’eroe, il figlio illegittimo che nel corso delle puntate apprende a diventare eroe, imparando dalle proprie debolezze, e dal senso di inadeguatezza che deriva dalla sua incerta origine.

Mentre dapprima si dirige alla barriera, per diventare il difensore eroico che vuole essere meglio e al di sopra degli altri, riuscendo così a riscattare il suo stato di orfano illegittimo, piano piano si riaccosta invece alla propria umanità piena di sfaccettature, dove impara il coraggio del perseguire i propri obiettivi, la solidarietà ed apprende ad amare proprio  rompendo i suoi voti di dedizione ad una vita eroica che antepone gli altri a sé.

Assistiamo quindi al divenire dell’eroe, quello vero, che sbaglia e conosce bene le proprie debolezze, ed è ben lontano dal senso di superiorità di chi invece si dichiara migliore, più altruista e compassionevole dei suoi confratelli umani, avvalendosi magari a questo scopo del marchio di una qualche entità soprannaturale, sempre attento a rinforzare la propria autostima attraverso gli elogi che, in mancanza di meglio, si rivolge da sé…

Lasciando la metafora e trasponendo questa lettura alla nostra esperienza interna, appare evidente che aprirsi a se stessi e ai propri bisogni infatti, non ci impedisce di essere accoglienti e gentili verso gli altri, ma anzi diminuisce il nostro orgoglio e ci porta a contatto con la nostra umanità, la sola che ci può guidare verso la comprensione e l’aiuto, se ne siamo capaci, degli altri. Del resto, come si può sviluppare davvero il coraggio e la capacità di amare se non si conosce da vicino la propria paura e debolezza, accogliendola con compassione e accettazione per poi riconoscerla e quindi accettarla nei nostri simili ? https://artemindfulness.wordpress.com/2019/05/11/il-coraggio-di-accettarsi/

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