Quando un nuovo anno si srotola davanti a noi, ancora fresco ed inviolato nella nostra mente, ci pare che si possa finalmente dare una svolta alla nostra vita, dare inizio a nuove cose e nuove risposte alle nostre speranze.
In realtà nulla distingue questo giorno dall’ultimo dell’anno vecchio, a parte una data e un numero, a cui può legarsi la nostra intenzione ed il suo riconoscimento nei nostri cuori. In questo la natura ci è d’aiuto, riaprendo in questo periodo le porte di nuovi inizi e di nuove possibilità nel presagio della nuova luce, pur nel momento del massimo freddo e assenza di luce, nella rigidità e letargia dell’assenza di vita, o che così sembra.
Spesso però i sensi di colpa e la vergogna ci impediscono di fare passi in direzioni nuove, pur avendo riconosciuto i nostri errori passati la nostra identità resta però come incagliata e congelata nelle nostre scelte passate, ormai diventate obsolete e fallaci…così ci adattiamo a vivere una insopportabile diversità tra ciò che pensiamo/sentiamo di essere stati e ciò che vorremmo/potremmo essere… dissonanza da cui emergono perciò sensi di colpa e vergogna.
L’origine di questo soffrire è fin troppo semplice, e sta tutto nella nostra identificazione con un sé (o un io) stabile e incrollabile, con una sua identità permanente e pietrificata a cui vorremmo essere coerentemente fedeli, e che benché fittizia e ormai almeno parzialmente inutile, ci impedisce di cambiare, anzi addirittura di potere immaginare il cambiamento e la nostra stessa trasformazione (e qui sta la vera difficoltà…).
Se lasciamo che la nostra congelata rappresentazione interna si sciolga, possiamo permetterci di assomigliare invece ad una cascata, la nostra mente / corpo come un flusso che incessantemente scorre, cambiando a seconda della pioggia e del calore, dei sassi che incontra e delle balze da cui si slancia o si lascia cadere, un flusso sempre diverso pur mantenendo provvisoriamente nome e funzione. Se ce lo permettiamo quindi, possiamo cambiare e trasformarci senza vergogna a causa di quello che ci ha portato fino a questo nuovo anno, ma anzi facendone tesoro per arricchire la nostra memoria mentre lasciamo il passato nel passato…e ci tuffiamo con entusiasmo e gioia verso le nuove direzioni che portiamo nel cuore.
E così, come la cascata, poter approfittare della ricchezza d’acqua per infrangerci a terra tra luminose goccioline, formando incessanti arcobaleni, ma anche della scarsità di pioggia per dissetare piante e animali che incontriamo nel nostro raro e stentato scorrere…scorrere gioiosamente nel tempo.
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Se qualcuno ha mai provato ad usare gli acquerelli sa quello che intendo…il colore, vivo e squillante nel godet, ancora intatto sulla punta del pennello, quando tocca la carta bagnata (una tecnica che prediligo) si stempera, si addolcisce, si sfuma, si mescola…e assume forma e intensità inaspettata. Quasi una risposta, a volte del tutto autonoma, all’intenzione del tocco, che va accolta, scoperta e poi, forse, interpretata…
E’ la stessa sensazione di questi giorni, quest’anno poi l’estate ha ceduto di colpo il suo potere all’autunno ed i colori del paesaggio sono ancora piuttosto intensi mentre la pioggia provvede a sciogliere tutto quello che può…la vecchia polvere della sete estiva, i frutti ormai un po’ guasti, le foglie che impercettibilmente cambiano tonalità di verde, abbandonano gradualmente la porzione di blu per rivolgersi ai toni caldi, quasi un anelito verso il calore estivo che ci sta lentamente abbandonando…per poi imbottire pian piano il terreno dove anneriscono sotto il frequente pianto del cielo.
Così, mentre il vento più fresco e l’umidità ci sorprendono, ci pare di rimpiangere il caldo e secco in cui boccheggiavamo poche settimane fa, la pienezza della stagione estiva che dobbiamo, ahimè o per fortuna? abbandonare…qualche nebbia precoce sale, qualche nuvola invece scende a toccare i campi arati e le zolle aperte e il paesaggio si trasforma in un ricordo appannato, del sapore dei sogni…
Così a volte succede che anche noi ci ritroviamo a dover lasciare qualcosa, il cuore come una zolla spaccata e aperta verso il pallido sole e la nebbia…a volte le lacrime ci aiutano a sciogliere il dolore insieme al cortisolo che si portano via, e a stemperare rabbia e tristezza. A volte invece restiamo bloccati e congelati, nella paura che l’esperienza di perdita potrà ripetersi, ancora una volta…e tremiamo nell’imboccare l’ingresso nel territorio dell’indesiderato.
Ma come ha potuto Persefone all’equinozio d’autunno abbandonare la madre Demetra, ricca di gioia e di frutti, e scendere nel profondo? con quale animo e quale forza? per la verità la sua non è stata una scelta, ma il mito ci racconta che fu rapita da Ade, un dio peraltro saggio e buono benché governatore dell’aldilà, di quel mondo buio della resa dei conti dove a volte non vogliamo entrare. Così noi ci avventuriamo nella scoperta di noi stessi soltanto quando veniamo brutalmente strappati alla nostra estate, alla nostra zona di comfort, quel luogo dove tutto sembra bello, colorato, turgido di vita e di promesse e soprattutto sembra vero, e stabilmente vero per sempre…ma la transitorietà della natura e delle sue stagioni non è che un riflesso della nostra mente, anch’essa transitoria essendo flusso di coscienza, ed è questa l’unica reale verità.
Quando la nostra consapevolezza appare quindi come essere un flusso, che gocciola e scava dentro il nostro inferno, si aprono paesaggi meravigliosi e vertigini sorprendenti e noi possiamo scoprire qualcosa di nuovo su noi stessi, nuovo ma ugualmente vero mentre ci sentiamo accolti nell’atmosfera sospesa della grotta come in un caldo e quieto grembo materno che ci offre sicurezza. Sappiamo che Persefone, sposa di Ade, al solstizio concepirà il nuovo sole dell’anno che dopo la gestazione invernale salirà alto in cielo, mentre la nuova stagione uscirà all’aperto, primavera grondante di vita, fiori, profumi e promesse di una nuova realtà. Quindi possiamo immaginare che il periodo della discesa agli inferi sia letteralmente il periodo più fertile e fecondo dell’anno, se siamo disposti a lasciare andare naturalmente tutto ciò che può essere dilavato e sciolto dalle piogge…aspettative, speranze, progetti…tutto ciò che ha fatto il suo tempo, incluso il nostro stesso corpo se è arrivato il suo tempo…Lasciare che i colori si stemperino in una nuova immagine, una visione, una prospettiva che ci accompagnerà nei prossimi mesi per dare gusto e sapore ai frutti del prossimo anno.
La tentazione nella stagione della perdita, perché di questo ci parla l’autunno, è di aggrapparsi e far finta di nulla, sforzandosi di mantenere i ritmi dell’estate e il fisico (e in modo a volte imbarazzante anche l’immaturità) della gioventù…mentre anche la perdita, la transizione, il cambiamento, potrebbero portare con sé un valore che possiamo riconoscere, quello di nutrire il nuovo nella trasformazione di ciò che è stato.
Che fare allora, mentre accogliamo più o meno volenterosi il decomporsi di ciò che avevamo progettato, sperato e nutrito? Possiamo certamente rallentare il ritmo, circondarci di tenerezza, concederci qualche momento di pausa in cui assaporare il calore dell’abbraccio di Ade…qualunque sia il significato che esso ha per noi…fermarci e stare nel presente, circondati dal buio e immersi nella nebbia, dove soltanto la visione e l’immaginazione possono avvenire e diventare creativi.
E lì, nel presente, essere come un immobile e misterioso buco nero che in un’altra dimensione crea l’universo futuro con le sue luminose galassie di possibilità.
Nel momento della ripartenza dopo l’emergenza di questi ultimi mesi, stiamo tentando di fare un bilancio di quello che è successo, e in questo fare dobbiamo prendere atto dello scenario che si presenta ai nostri occhi, mano a mano che la polvere sollevata dal “crollo” si posa e lascia intravedere le rovine dei nostri progetti e della nostra vita com’era.
In questo periodo i programmi, più o meno importanti, di molti di noi sono andati a monte. C’è chi ha parlato di tsunami, chi di crollo. Questa esperienza della pandemia ci ha trovato del tutto impreparati, tra tutti gli scenari che ci eravamo prefigurati per questi mesi primaverili, questo proprio no, non l’avevamo previsto. La prima reazione è stata quella di resistere e continuare a tentare di fare nello stesso modo di sempre quello che ci eravamo proposti, per alcuni a costo anche di violare le nuove regole. Così per molti la reazione è stata la stessa che avremmo avuto di fronte ad un impedimento o a un fallimento personale….abbiamo provato a resistere. Ma la resistenza rafforza l’energia a cui tenta di opporsi, dandole di conseguenza più potere ed energia contro cui dover lavorare.
Qualcuno cercando un senso è tentato di includere questa esperienza della pandemia in una legge ricorrente, rinforzando la sensazione di essere ripetutamente perseguitato da qualche problema personale che si ripresenta ciclicamente…il problema economico, o quello della solitudine, ad esempio… non importa come possiamo cercare di ignorarlo, evitarlo o scappare da esso… ci sembra che possiamo liberarci di qualcosa che non vogliamo semplicemente spingendolo via, non pensandoci o nutrendo la credenza con la spavalderia che possa essere qualche cosa che a noi non toccherà di sicuro. Anche questa è una forma di resistenza, la resistenza alla realtà delle cose.
Ma ciò a cui si resiste, persiste.
La resistenza infatti tende a rafforzare le energie a cui tenta di opporsi dando loro valore e potere. Inoltre, la resistenza ci impedisce di imparare di più su ciò a cui resistiamo. Per comprendere appieno qualcosa, dobbiamo aprirci abbastanza da ricevere la sua energia; altrimenti, rimaniamo ignoranti delle sue lezioni. In questo momento l’energia da comprendere, dopo avere convissuto con il tempo sospeso, è sapere convivere con l’incertezza di cui siamo costretti a prendere atto, e con la sconosciuta restrizione di ciò che maggiormente ci caratterizza come specie e cioè della socialità, per lo meno fisica…
Quindi l’energia del cambiamento e del saper rispettare se stessi pur nella necessaria flessibilità e trasformazione che i nuovi tempi esigono da noi. Tutto ciò che resiste ci irrigidisce e ci fa soffrire, nel processo di adattamento invece possiamo scoprire nuove strade e nuove idee/soluzioni.
In sostanza, i nostri principali ostacoli sono dentro di noi. Ciò che ci affligge e ci insegue a livello interiore ha un modo di manifestarsi nel nostro ambiente sotto forma di persone, eventi e problemi che sembrano essere al di fuori del nostro controllo. Ma tutte queste espressioni esterne sono riflessi del nostro aggrapparsi a miraggi e a desideri diventati ora non adeguati, ed è invece dentro di noi che possiamo sperimentare nuove ipotesi e nuovi scenari con sicurezza, arrendendoci a ciò che temiamo e non ci piace, lasciando che sia, per imparare a conoscerlo. Può sembrare un proposito spaventoso e potremmo riconoscere molta resistenza in noi, mentre iniziamo il processo di apertura a ciò che temiamo.
Ma più impariamo ad arrenderci e a guardare con attenzione e curiosità, con consapevolezza, ciò che maggiormente temiamo e cioè il pericolo e la perdita inaspettati, e più i demoni che ci affliggono, gli ostacoli interiori che impariamo così a riconoscere, scompaiono nel processo mentre diventeremo coraggiosi, creativi e flessibili.
Il meraviglioso alone solare di 22°, visibile nel cielo di mezza Italia lo scorso 16 aprile, mi ha portato ad approfondire il mito di Issione che non conoscevo, un uomo legato e rinchiuso nel cerchio di fuoco per essersi congiunto alla nuvola Nephele e per questo punito da Zeus con l’aiuto di Mercurio (la cui elongazione media intorno al sole per l’appunto corrisponde ai 22°…) e che viene meglio compreso collegandolo a questo fenomeno astronomico. (P.Colona, 2016)
Oltre al significato tradizionale di preannunciare il peggioramento del tempo, data la realtà meteorologica che provoca questo fenomeno e che infatti dopo 3 giorni si è puntualmente verificato, mi è sembrata una bella immagine di noi umani in questo tempo sospeso, Soli solitari, rinchiusi dalla nostra ragione (Mercurio) nel cerchio sempre più doloroso della nostra distanza sociale obbligatoria.
La colpa che Issione deve espiare come sempre nel mito è una trasgressione, la rottura di un patto o di una regola, il tradimento della fiducia…E infatti Issione, umano proprio come noi, ha trasgredito un sacco di regole, familiari e sociali. Per continuare l’analogia con la nostra specie nel 21° secolo, prima fra tutte il tradimento della legge naturale che ci vede come parte di questa e non superiore ad essa…e non a caso Issione ne discute proprio con la nuvola che Zeus gli ha inviato per sondare le sue reali intenzioni, formandola ad immagine di Hera o Era, che nella mitologia greca è una delle divinità più importanti, patrona del matrimonio e del parto, protettrice del bestiame, sorella e moglie di Zeus e che Issione, tra le altre malefatte, aveva insidiato.
“LA NUBE Molte cose son mutate sui monti. Lo sa il Pelio, lo sa l’Ossa e l’Olimpo. Lo sanno monti piú selvaggi ancora.
ISSIONE E che cosa è mutato, Nefele, sui monti?
LA NUBE Né il sole né l’acqua, Issione. La sorte dell’uomo, è mutata. Ci sono dei mostri. Un limite è posto a voi uomini. L’acqua, il vento, la rupe e la nuvola non son piú cosa vostra, non potete piú stringerli a voi generando e vivendo. Altre mani ormai tengono il mondo. C’è una legge, Issione.
ISSIONE Quale legge?
LA NUBE Già lo sai. La tua sorte, il limite…”
“Dialoghi con Leucò (Einaudi tascabili. Scrittori Vol. 600)” di Cesare Pavese
Come ammonisce Annalisa Corrado dalle pagine de La Stampa, ” In definitiva, questa incredibile situazione emergenziale che ci troviamo a fronteggiare, questa spaventosa pandemia, avrebbe elementi di evidente parallelismo con la crisi climatica, con la distruzione e il saccheggio della biodiversità, con le condizioni insalubri in cui molti di noi sono costretti a vivere e lavorare. Sarebbe, cioè, anch’essa riconducibile al modello economico dominante: estrattivo, fossile, aggressivo e dedito al saccheggio sistematico delle risorse dell’ecosistema.” (per approfondimenti vedi l’articolo originale)
Ed eccoci quindi incatenati dalla ragione ad un cerchio di fuoco, un vero tormento dato che al momento il distanziamento sociale ci priva di ciò che primariamente ci rende umani, esseri sociali e cooperativi, e costituisce però l’unica arma che riusciamo ad opporre, al momento, alla pandemia. Bisognerebbe avere il coraggio di immaginare nuove prospettive, nuovi stili di vita, uscire da schemi mentali ripetitivi e ormai disfunzionali, stretti come l’orbita di Mercurio che ci lega al nostro personale Sole egocentrico e un po’ narcisista, e che ci portano a desiderare di tornare indietro, a quando potevamo credere di essere onnipotenti padroni della natura e di non avere limiti, e che le pandemie accadessero solo nei film…Provare a generare quella mente del principiante in grado di vedere la realtà così com’è, un universo infinito di stelle e di soli interdipendenti, ed adattarsi ad essa in modo concreto e flessibile, partendo dalla consapevolezza profonda della propria debolezza e vulnerabilità.
E così, forse, finalmente arriverà la pioggia, per innaffiare i nuovi semi e spegnere il fuoco del nostro orgoglio.
Quello che più manca in questo periodo di costrizione sono l’esperienza di connessione e l’interezza che si possono provare in natura, soprattutto quando un insieme di coincidenze portano a sperimentare tutti gli elementi simultaneamente…aria e acqua mescolate negli spruzzi e nelle nuvole, la terra tra le radici degli alberi che si fa pietra scivolosa e inevitabile, il sole, fuoco impetuoso e supremo incontra con gioia tutti gli altri elementi formando un arcobaleno nello spazio per l’occasione precipitato dal cielo, che accoglie la pioggia dorata ferma nell’attimo che rinuncia al tempo. Questa è proprio la stessa natura umana! che mantiene la sua incontaminata naturalezza anche se il corpo è intrappolato tra muri e finestre chiuse, corpo che possiamo incontrare con fiducia e in cui possiamo ripararci quando cerchiamo un respiro di sollievo, facendo spazio tra i pensieri all’attimo presente, di nuovo rinunciando al tempo. Così scopriamo come ogni cosa ed ogni esperienza sia interconnessa e che lo stesso spazio del cielo è quello che mi circonda proprio ora entrando col respiro, come non ci sia più reale differenza tra il me il noi gli altri l’ambiente e l’universo e qualunque evento sia necessario in una prospettiva naturale. E dal riconoscimento avviene l’accettazione della realtà così com’è, allora nella completezza possiamo volare senza fatica.
E io ho il vento nel cuore,
e con la tempesta corro nei cieli carichi di pioggia;
salgo e scendo, sfreccio rapido fra le fole che s’intrecciano
in mille gorghi e spirali.
E io ho il sole nel cuore,
e con raggi sinuosi mi lascio scivolare fino a terra;
m’immergo nella calda luce e sprofondo nel culmine del volto sorridente
dove la dolce carezza m’acquieta.
E io ho la pioggia nel cuore,
e con gli scrosci divento acqua ridente;
cado quand’essa cade e in rivoli m’addentro nei meandri oscuri,
fra le pieghe di Madre Terra.
E io ho la terra nel cuore,
profumata pelle di chicchi di roccia;
sono pietra dura e sabbia fine, zolla fertile ed erba tenera
e con risa di frane corro lungo le montagne.
E io sono aria nel cuore,
e sono fuoco nel cuore;
sono acqua
e sono terra nel cuore.
Riccardo Taraglio, con lo pseudonimo di Tail na Bride – Eryr Nemeton (“Fronte di Bride – Aquila del Nemeton”)
La primavera sta accadendo ovunque e quest’anno parrebbe anche senza di noi. Come fiori solitari, chiusi in casa e senza stringersi la mano, per non dire altro, quando vorremmo essere vicini vicini per farci coraggio. Ma non si può.
In una solitudine forzata nella stagione degli incontri e delle nuove relazioni, mentre fuori un tempo bellissimo accompagna quel germogliare e sbocciare a cui vorremmo partecipare proprio adesso, lasciandoci riscaldare da questo nuovo sole dell’anno.
Stiamo provando ad opporre il vantaggio evolutivo della capacità di pianificazione e, soprattutto, inibizione, che sono prerogative uniche della specie umana, alla legge naturale del virus che cerca un punto di equilibrio tra il suo proliferare nelle nostre cellule e la nostra sopravvivenza. Dovrebbero essere i più deboli tra noi a farne le spese, e questo potrebbe essere il vantaggio per la nostra specie, uscire rafforzata da questa battaglia di selezione naturale.
Ma noi forse, perché ancora non è detto, abbiamo scelto il vantaggio e la forza del pensiero e del libero arbitrio, e la vecchiaia e la debolezza sono ciò che imbeve di saggezza cultura e progresso, memoria e linguaggio che ci permettono di trasferire da una generazione all’altra quel che abbiamo appreso dalla storia, anche la storia delle epidemie, e ciò che davvero ci serve. Non è nostra la legge del più forte, ma quella del più astuto, o saggio…e stiamo richiamando dalla pensione alle posizioni di guida e comando proprio i medici più anziani, esperti di passate epidemie, mentre le equipe mediche delle popolazioni più povere e soggette a rischio epidemico, vengono ad insegnarci come si fa.
Il libero arbitrio, la possibilità di scegliere, è ciò che ci distingue dalle altre specie e secondo la neuroanatomia funzionale risiede nella corteccia fronto polare. Spesso confondiamo l’impulso e l’istinto con la libertà di comportarci come ci pare, mentre in realtà pare proprio che la capacità di posporre i nostri obiettivi nel tempo derivi dalla funzione inibitoria, che permette la pianificazione e quindi la vera libertà, anche dagli impulsi quando non ci servono… Per fare un esempio…meglio un uovo oggi o una gallina domani? La percezione del rischio è spesso sottovalutata a favore di una ricompensa immediata, e perciò preferiamo l’abbraccio di oggi a rischio di un invisibile contagio, alla solitudine della quarantena che può però fermare il virus e permetterci al più presto, ma non oggi, di ritornare alla vicinanza e all’intimità a cui siamo abituati. D’altra parte proprio l’abbraccio e il contatto fisico costituiscono il mezzo per ottenere quella regolazione emotiva che ci permetterebbe, almeno per un po’, di contrastare la reazione di allarme che ci prende quando ci rendiamo conto di essere, ad esempio, nel bel mezzo di una pandemia.
La regolazione inibitoria infatti è governata proprio dal sistema parasimpatico, disattivato quando siamo in allarme, e in particolare dalla sua branca ventrovagale, un circuito mielinizzato molto veloce, che mette in relazione gli organi sopra diaframmatici cioè cuore e polmoni, con i muscoli del volto e della faringe. E’ il circuito calmante e frenante prerogativa dei mammiferi superiori e dell’uomo, che hanno bisogno di esprimere e comunicare velocemente le emozioni col volto e con la prosodia del linguaggio e di essere predisposti all’ascolto per mettere in atto i comportamenti di ingaggio sociale, di affiliazione e di cooperazione atti ad allevare i cuccioli, a proteggersi a vicenda e sopravvivere.
Quando siamo in una situazione di allarme costante come in questi giorni, siamo governati dal sistema simpatico che ci predispone all’azione, ma se non abbiamo la possibilità di attaccare o fuggire entriamo in uno stato di stress, sperimentando paura e rabbia, e conseguenti irritazione e irrequietezza se non possiamo dare sfogo a queste emozioni primarie. Se a questo punto non possiamo neanche contattare i nostri simili per ripristinare lo stato di sicurezza -appreso nella relazione di attaccamento nei primissimi mesi e anni di vita- potrebbe prevalere l’attivazione del sistema parasimapatico nel ramo dorsovagale, che senza arrivare a portarci allo stato estremo di freezing, produce però un rallentamento ideo motorio, prostrazione e stanchezza fisica, ottundimento mentale ed emozioni di tristezza, ed è associato quindi ad uno stato depressivo, per di più favorito dalla solitudine, ancora una volta dalla paura e dalla mancanza di prospettive certe che caratterizzano queste giornate.
Come possiamo quindi entrare in uno stato parasimpatico ventrovagale, cioè ripristinare le condizioni di sicurezza in assenza del contesto sociale e ambientale al quale siamo abituati? Questo stato bio psichico interno può essere favorito dalle attività che possiamo svolgere soltanto in presenza di questa specifica attivazione: ridere il più possibile, meditare, svolgere attività creative come scrivere, cantare, dipingere, suonare, fare leggera attività fisica (come ballare davanti alla televisione…), contattare i nostri cari con videochat e non solo per telefono, in modo che attraverso il feedback facciale e il contatto sociale possiamo ripristinare la nostra regolazione ventrovagale e la modalità cooperativa, e inibire i comportamenti impulsivi e a volte antisociali.
Così possiamo davvero decidere di stare in casa e mantenere un metro di distanza perché, noi lo sappiamo, è così che funziona il contagio ed è così che possiamo fermarlo. E il virus questo non lo sa, non sa ridere ballare e cantare e neanche fare le videochiamate…
Per approfondimenti sulla teoria polivagale di Stephen Porges https://www.stephenporges.com/
Siamo nella settimana di San Valentino, protettore degli innamorati e delle amicizie “del cuore”, dell’amore e di tutto ciò che è le nostre farfalle nello stomaco e quella sensazione tenera di sintonia, di esserci già visti e conosciuti, da qualche parte o forse in un qualche sogno… E’ quell’armonia che rompe il ghiaccio, che ci fa ridere o sorridere senza motivo, tranne che la vicinanza e la scoperta dell’esistenza dell’altro. E’ perciò la festa dell’ Anam Cara celtico (in gaelico Anima Amica) quella persona con cui ci si può confidare e di cui si sente l’appartenenza al di fuori di ogni categoria sociale, culturale, di razza…perché come diceva una vecchia canzone di Finardi “… l’amore non è nel cuore, ma è riconoscersi dall’odore”…
In natura in questo periodo viviamo l’alba dell’anno e cioè la seconda parte dell’inverno, quando il freddo e il secco del dominio di Saturno cedono il passo alle fresche piogge che inumidiscono e ammorbidiscono il terreno e irrorano i semi, vivificandoli in modo che possano germogliare. Il Sole fa il suo ingresso nei Pesci, ultimo segno invernale, il 21 febbraio e Venere, che in questo segno governato da Giove è in esaltazione, col suo significato di umidità fecondante ci apre all’amore in sintonia con il mondo naturale. E del resto anche nel corpo gli affetti più intimi sono sempre vivificati dall’acqua e dall’umidità, non solo il latte materno che nutre e trasmette sicurezza, o le lacrime che ci aiutano ad espellere cortisolo – l’ormone dello stress- ma anche il bacio ed ogni contatto più profondo che avviene fra esseri umani.
Come la luce è la fonte di vita sulla terra, così il pensiero è ciò che ci aiuta a riconoscere il divino che è in noi e quindi amando a riconoscerlo nell’altro, acquistando coraggio e apertura nella nuova alba dopo la notte della solitudine e nelle nuove possibilità aperte dall’amore come da un nuovo giorno…e provando a comunicare, dato che così spesso un nuovo contatto che si crea spontaneamente può essere poi danneggiato da una cattiva comunicazione…Ciascuno di noi ha una modalità espressiva preferita, chi quella visiva, chi quella tattile, chi privilegia sapori, odori o suoni, tutte modalità che entrano a far parte della nostra comunicazione con immediatezza e seguendo le proprie tendenze. Possiamo quindi chiederci con curiosità e interesse se chi ci sta di fronte ha la stessa nostra modalità o si esprime con una diversa…e provare a sintonizzarci per ascoltarla e comprenderla…E poi fortunatamente abbiamo sempre a disposizione le parole, il linguaggio, che trasversalmente potrebbe facilitarci il compito!
Ma che cosa serve quindi per comunicare al meglio? paradossalmente e innanzi tutto, avere imparato ad accettare sé stessi con i propri difetti e imperfezioni, perché questo ci darà la possibilità di aprirci e scoprirci senza sentirci inferiori o vulnerabili, e senza indossare una maschera linguistica che impedirà la vicinanza, a noi stessi e all’altro. Naturalmente le parole creano sempre mondi e paesaggi non completamente veri, ma dobbiamo stare attenti a non esagerare nella creatività, per non cadere nella menzogna…
Ciò che rende una persona un buon comunicatore è, in sostanza, la capacità di non lasciarsi turbare dagli aspetti più problematici o peculiari del proprio carattere. Può osservare la propria rabbia o tristezza, il proprio orgoglio e la propria sessualità con le proprie manie ed opinioni talvolta strane o desuete o forse imbarazzanti senza perdere la fiducia in sé o cadere nell’autocritica. Può aprirsi e parlare con chiarezza perché è riuscito a sviluppare un impagabile senso della propria accettabilità. Si piace abbastanza, senza essere un Narciso ma credendo di essere degno di essere ascoltato, conosciuto e amato per quello che è…
Se da bambini quindi non abbiamo avuto dei genitori sufficientemente buoni che hanno saputo amarci in modo incondizionato, senza pretendere che ogni aspetto di noi fosse piacevole e perfetto, è arrivato il momento di fare da soli, e di lasciare che la nostra muraglia di autocritica mostri qualche crepa aperta dall’acqua dell’amore e accettazione per noi stessi… se anche siamo un po’ strani, o a volte arrabbiati, o cattivi, o tristi, se non abbiamo ottenuto quel certo lavoro o quel titolo di studi, o quell’immagine sociale che avremmo potuto avere se soltanto… Siamo comunque degni di essere amati! e prima di tutto da noi stessi.
Coltivando la vicinanza e l’affetto per noi stessi, consapevoli della nostra verità così com’è, lo stesso tipo di ascolto e apertura potrà essere rivolto anche a chi ci sta accanto, accettando le sue imperfezioni e diversità.
Perché l’amore, si sa, nasce il primo giorno di noia…
Era parecchio tempo che volevo dare una voce a questa bella foglia che ho incontrato per caso e che non cade, ancora, anzi con l’aiuto di una vecchia tela di ragno e di un magico soffio di vento pare danzare nell’aria …così ho atteso un po’, finché qualcosa ha preso forma nella mia mente e posso dargli voce… L’attesa… è stare con quel che non c’è, ancora, familiarizzare con la mancanza e con il vuoto…
Guarda caso, siamo nei giorni del solstizio, quando il sole si ferma ad aspettare… Che cosa può mai aspettare un sole? Forse di raccogliere le forze, che l’energia un po’ ritorni per poter risalire nel cielo e ritornare a dare a sua volta forza alle cose, alla natura, alla terra. Così in questi giorni, anche a mezzogiorno il sole è così basso sull’orizzonte da sembrare volere entrare nella terra a riposarsi e stare per un po’, finalmente, al buio. Stare con l’assenza, con la mancanza, con il vuoto. La casa, vuota. Il piatto, vuoto. Il portafogli, vuoto. Il letto, vuoto. Senso e significato, vuoti anche loro… Restare in presenza non significa ignorare ma accogliere, e anche quando l’emozione sembra intollerabile, possiamo provare ad allargare la nostra prospettiva, permettendoci di scoprire che il vuoto è generato solo dai contorni o recinti che noi abbiamo messo, che ci siamo imposti. Ma non è mai, davvero, così vuoto se guardiamo fuori dai recinti.
Quando il silenzio è dappertutto, senza progetti e senza aspettative. È allora che l’attesa non è più attesa di qualcosa, ma diventa pienezza, rifugio e completezza e gioia di per sé. Siamo sempre, rapidamente, alla ricerca di qualcosa, nella fretta permessa dall’illusione della tecnologia e non ci fermiamo mai… Ingurgitiamo famelici esperienze, cose, sapori e persone, senza fermarci, senza stare, so-stare, quietamente nella mancanza, anche, di obiettivi. Quanti problemi nel nostro tempo così veloce derivano dal concederci tutto quello che possiamo in fretta, immediatamente, senza aspettare? Cibo, sesso, alcol, oggetti, sostanze ed esperienze, incessanti, senza pause, senza un momento d’ombra…senza darci il tempo di attendere prima di assaporare.
Siamo ovviamente disconnessi dalla natura che nel suo ciclico alternare di luce e temperatura potrebbe ricordarci il giusto ritmo, con il suo abbraccio dirci quando è il momento di saziarci e quando digiunare, quando cantare e fare festa, quando stare in silenzio con noi stessi….noi stessi, questa la nostra paura più grande: riconoscerci per quello che siamo, fragili e quasi invisibili in una prospettiva naturale. L’unica adatta però per imparare ad accettarci e, in definitiva, ad amare la nostra fragilità e la nostra resilienza, il mondo colorato e profondo dei nostri pensieri che così spesso vogliamo cancellare o ignorare.
Come questa foglia, anche noi possiamo fare dell’attesa una danza e riconnetterci con la complessità del nostro essere che così spesso ci sfugge, e di cui sappiamo riconoscere solo qualche parte, ciò che si vede in superficie, a volte non sempre, quello che sembriamo…Imparare a fluttuare leggeri, a sintonizzarci con quello che accade, come naturalmente avviene al di là del tempo. Si potrebbe perciò stare nel danzare, il cielo sopra, la terra sotto e bosco e vento tutt’intorno. Forse al momento giusto arriverà anche un raggio di sole, o un po’ di pioggia…
Mai come nel momento dell’equinozio d’autunno, quando notiamo il rapido accorciarsi delle giornate, possiamo percepire il veloce cambiamento dei fenomeni naturali, la transitorietà delle esperienze che viene spiegata proprio dalla parola stessa equinozio, l’equilibrio perfetto si, ma di una notte soltanto. Così come al solstizio il sole sembra arrestarsi in cielo per qualche giorno, nell’equinozio invece cambia rapidamente di declinazione e nel caso dell’autunno, questa esperienza ci invita a lasciare andare velocemente le ore di luce e il calore vitale dell’estate con la stessa rapidità con cui Ade porta via l’amata Persefone, o Kore, a Demetra.
Allo stesso modo a volte la vita ci sorprende, con bruschi cambiamenti inaspettati che siamo costretti ad accogliere ed accettare nonostante non avessimo davvero previsto quella svolta, quel cambiamento, quella diagnosi, quella perdita…
Quando sperimentiamo qualcosa che ci fa provare shock e tristezza, potremmo sentire l’impulso di ritirarci dalla vita e di restare da soli a leccarci le ferite. Diventiamo consapevoli della nostra vulnerabilità e può sembrare che essere ritirati ci protegga dal mondo, mentre in questi periodi sarebbe importante farsi raggiungere dalle persone fidate e preziose che si interessano di più a noi. Anche con i nostri migliori pensieri e ragionamenti, non possiamo certo sapere se l’esperienza o la prospettiva di qualcun altro può darci quello sguardo diverso che ci occorre in questo momento. L’universo ci parla attraverso molti canali e quando ci apriamo per ricevere i suoi messaggi, potremmo ricevere anche le cure nutrienti di un partner amorevole nel corso della nostra vita.
Il dolore fa parte dell’esperienza umana e condividere la nostra vulnerabilità è ciò che crea legami veramente stretti nelle nostre relazioni. Aprirci in questo modo arriva al nocciolo del nostro essere, oltre tutte le nostre difese e pregiudizi che ne costituiscono la scorza. Quando la vita sembra spezzare il guscio esterno del nostro mondo, siamo allo stesso tempo vulnerabili e più veri, autentici. È allora che scopriamo chi è veramente disposto a camminare con noi attraverso la vita, e potrebbero anche non essere coloro che ci aspettavamo di vedere. Il periodo del lutto e della perdita ci offre l’opportunità di sentirci parte di una realtà interdipendente di cui siamo una piccola particella, collocando nella giusta prospettiva il nostro sentire. E di poter quindi confidare nell’universo, negli altri, oltre che nella nostra forza e resistenza, e nella saggezza della vita stessa al di là dell’orgoglio che ci impedisce di mostrarci, prima di tutto a noi stessi, nella nostra debolezza che pure è un aspetto importante di noi.
Potremmo anche tentare di motivare il nostro desiderio di cavarcela da soli per non sentirci in colpa o egoisti, come se stessimo pesando su qualcuno che ha già i propri fardelli da portare. Anche se, a pensarci bene, siamo certi che faremmo lo stesso per loro e che le loro proteste ci sembrerebbero inutili…
La condivisione del dolore ci consente di alleggerire il nostro carico, lasciando che qualcun altro ci aiuti a portarlo. Questo ci aiuta a elaborare i nostri pensieri e sentimenti interiori attraverso il filtro di una persona fidata e amata, elaborazione che ci permetterà di estrarre un tesoro di saggezza dal nostro trauma e di trovare insospettabili vie d’uscita proprio per mezzo della nostra debole natura, dove la crepa diventa una porta aperta sul nuovo. Anche in questo caso il mito ci aiuta, ricordandoci che la violenza del rapimento da parte di Ade della giovane Kore riluttante, è il preludio alla celebrazione delle nozze sacre, in cui i due sposi condivideranno il dominio degli inferi, che possiamo leggere come il superamento della sofferenza e del male…il potente Ade infatti conosce bene la sofferenza e anche la morte, è sopravvissuto al padre Crono che lo ha dapprima ingoiato e poi rigurgitato, e nel corso di questa esperienza probabilmente molto traumatica, il mito suggerisce che Ade ha maturato saggezza e serietà, oltre che l’Elmo dell’invisibilità, ma non durezza o crudeltà. Egli era infatti signore della morte, del sonno e dei sogni, saggio consigliere degli dei, giudice silenzioso che pur restando nell’ombra era giusto ed equo. Ha trasferito le persone da una vita all’altra, rimuovendo la distrazione del mondo esterno per godere della felicità interna della loro nuova esistenza…E del resto è proprio uscendo da questa permanenza annuale negli inferi che Kore, allontanandosi dallo sposo fecondata, sarà in grado di testimoniare con la sua gioia i doni che la madre terra Demetra offre agli umani.
Accettando quindi di condividere con umiltà e semplicità speranze e paure, incertezza e instabilità, gioie e dolori di questa fase delicata con un’altra persona, accettiamo il dono di saggezza e cura amorevole che la natura ci offre e diamo a coloro che ci amano l’opportunità di esserne un mezzo.
Il nostro universo è un continuo fluire di esperienze in interazione con l’ambiente, interno ed esterno. Questo flusso è percepito in soggettiva attraverso i sensi e gli stati fisiologici ed emotivi, il tutto mediato dai pensieri. I nostri pensieri creano concetti e descrivono le nostre percezioni sensoriali ed i nostri stati interni, a loro volta basati sulla continua trasformazione della nostra incessante e reciproca influenza con l’ambiente.
Quando diamo importanza ai pensieri più che alle percezioni e ai sensi, questi occupano in modo assillante la nostra mente e non ci permettono di essere a contatto con la realtà, inclusi i nostri bisogni e il nostro sentire più profondo. Con il pensiero creiamo il mondo che conosciamo e nel quale i pensieri e i concetti diventano concreti e tangibili, strade, case, automobili, guerre e denaro merci ed oggetti, gioia e disperazione, aspettative e mancanza di senso…il mondo nel quale viviamo ed in cui è sempre più impossibile vivere e adattarsi mano a mano che l’esperienza concettuale prevale, e diviene l’unica esperienza possibile, mentre perdiamo il contatto con le sensazioni e le percezioni. Questa è il tipo di esperienza che descrive e etichetta tutta la realtà, senza lasciare spazio a quello che si trova tra un nome e l’altro…
Ma il flusso di esperienze naturali nel frattempo continua ad esistere, dentro e fuori di noi, benché immersi in esso non riusciamo a viverlo pienamente e ci arrampichiamo sui concetti che stiamo creando, sempre più lontani dal reale… questo è il significato profondo dell’albero della conoscenza del bene e del male, il fico di cui abbiamo assaggiato il dolce frutto per cui siamo stati cacciati all’esterno dell’esperienza del paradiso naturale in cui non esistono i concetti e l’illusione di un’io separato.
Lo sviluppo di presenza mentale ci permette proprio di ritornare alla nostra mente naturale, consapevoli e presenti nel flusso dell’esperienza. Nel percorso i concetti possono aiutare, per distinguere ciò che è salutare da ciò che non lo è, ma alla fine vanno abbandonati e la nostra percezione diventa diretta e spontanea, non mediata da concettualizzazioni. In questo la natura, nei suoi molteplici aspetti di acqua, terra, aria, fuoco e spazio può accoglierci e guidarci se glielo permettiamo, così come lo stato del completo risveglio da questa illusione, l’ottenimento della bodhi, è avvenuto per la prima volta proprio meditando ai piedi del fico sacro, lo stesso albero del peccato originale…
Avvicinarsi alla natura in uno stato meditativo di presenza mentale, nel silenzio e con apertura, ci permette quindi non solo di ricaricarci energeticamente, con enormi benefici per il corpo e la mente ormai documentati, ma soprattutto in questa immersione di rientrare in connessione con l’universo, piante, animali, terreno e territorio inclusi coloro che lo hanno abitato prima di noi, per partecipare del suo equilibrio spontaneo e semplice e della sua sapienza al di là del tempo.
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