Che sia la fine di una relazione o la morte di una persona cara, la perdita della fiducia dovuta ad un tradimento, l’esperienza del rifiuto, la perdita del nostro lavoro, un intervento chirurgico necessario per affrontare un qualche genere di malattia, il dover lasciare andare un certo modo di pensare o una credenza che ha ormai cessato di essere utile, abbandonare sogni, speranze e progetti…l’affrontare la perdita non è mai facile.
Ce ne accorgiamo bene in questo periodo di perdita collettiva, in cui invece che guardare con soddisfazione ai frutti della stagione che si sta concludendo, siamo costretti ad accettare ( a torto o a ragione non è questo il luogo della discussione) perdita, sacrifici, fallimento…
Perdita significa non solo lasciare andare la persona o l’oggetto desiderato a cui dobbiamo rinunciare ma, e soprattutto, quell’apetto identitario e quella parte di noi che si era formato in risposta alla sua esistenza, e al quale siamo abituati. Banalmente, per chi va in pensione, cesserà l’identificazione con il proprio lavoro, per chi perde una persona cesserà anche lo stato di moglie, o di figlio, nel quale magari ci siamo identificati da una vita o quasi.
Questa a mio parere costituisce la parte di lutto più difficile da affrontare perché ci mette a confronto con la nostra identità e la perdita di senso associata inizialmente ad una sua trasformazione.
Solitamente quello che si fa, e che ci consigliano di fare, è “non pensarci” per sfuggire a tutto questo dolore e senso di vuoto, oppure anche peggio di “pensare in positivo”, senza concederci di attraversare questo momento con la dignità di chi non vuole nascondere a sé stesso la propria tristezza. Come per tutte le emozioni negative spesso ci sforziamo di non sperimentarle, come se fossero stati molto pericolosi da cui sfuggire…
In realtà, quando ci permettiamo di restare a contatto con la tristezza e con il vuoto della perdita, impariamo a familiarizzare con l’alternarsi delle esperienze, fatto in sè del tutto prevedibile e naturale…e che accadrà ancora. La credenza che la vita debba essere un percorso lineare in ascesa verrà così piano piano sostituita da una sana accettazione della realtà, una realtà in cui possiamo soprattutto imparare a vivere in tutte le stagioni.
In questo ci può aiutare molto il contatto con la natura, dove il lasciare andare (che costituisce per noi l’aspetto più doloroso della perdita) fa parte del ciclo naturale dell’esistenza in cui ogni cosa viene integrata nel tutto, esistenza vissuta perciò nelle sue interrelazioni in modo circolare e interdipendente e non lineare.
Ma perchè questa esperienza circolare da negatività ricorsiva possa diventare piuttosto una spirale ascendente sta a noi, dopo la permanenza nel vuoto della perdita, assaporare quella spaziosità che permette crescita, maturità e lo svilupparsi di nuove esperienze. E questo ci aiuterà a costruire nuove parti di noi, e una nuova identità più adatta alla nuova situazione che stiamo sperimentando…per questo occore coltivare flessibilità, ci può essere molto d’aiuto.
Certo questi discorsi dal sapore un po’ troppo ottimista sono difficili da pensare quando il dolore ci morde nel profondo. E’ allora che ci viene in aiuto la consapevolezza (mindfulness) con cui siamo in grado di distinguere tra noi stessi e il dolore, con accettazione e decentramento e…tanta pazienza!
Del resto il dolore, quando ci permettiamo di sperimentarlo e di accoglierlo, è un potente motivatore al cambiamento, forse il più forte. Ed è quando cerchiamo di curare il nostro malessere, e facciamo qualcosa per ritrovare benessere e gioia profonda che troviamo nuove strade, impariamo cose nuove su di noi e sul mondo e cresciamo.
Iscriviti alla newsletter (2 o 3 invii al mese e possibilità di cancellarsi)